Storia di una capinera by Giovanni Verga

Storia di una capinera by Giovanni Verga

autore:Giovanni Verga [Verga, Giovanni]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 2011-10-30T16:18:41+00:00


30 Dicembre

Oh! Marianna! Marianna mia! quanto ho pianto! quanto ho sofferto! I signori Valentini partiranno domani! intendi? Non c'è più coléra! non c'è più nulla!... partiranno!...

Non lo vedrò più!... L'ho saputo a caso, pochi momenti or sono. Non hanno almeno avuto la pietà di dirmelo!...

M'è sembrato di morire, ho rimproverato Dio che mi fece guarire! Ho pianto tutta la notte. Il petto mi duole assai. Qualche volta ho singhiozzato così forte che Giuditta mi avrà udito.

Sono una sfacciata! non ho più ritegno; non ho che un solo pensiero; sono uscita come una pazza a chiedere informazioni alla castalda. È per domani! Egli è venuto a dire addio alla mia famiglia, e non me l'hanno fatto vedere almeno per l'ultima volta!... e non lo vedrò più... e non l'ho saputo che a notte fatta, quand'era buio... quando non potevo più scorgere e salutare quella casetta dove egli passerà l'ultima notte!...

Che gente è quella, Dio mio?... che gente senza cuore, senza pietà e senza lagrime!...

Che notte! che notte orribile! Com'è angusto questo stanzino, come son cupi questi luoghi! Tutta la notte la pioggia ha scrosciato sui vetri, il vento ha fatto scuotere le imposte, il tuono pareva che ci rovinasse addosso col tetto della casa, e i lampi penetravano fin dentro coi loro sinistri bagliori... Avevo paura e non osavo segnarmi... sono una maledetta, una scomunicata, poiché anche in quel momento non pensavo che a lui... e più di una volta ho pregato Iddio ed ho sperato che quell'uragano durasse, non saprei dire io stessa quanto, purché egli non partisse, purché rimanesse sempre vicino a me... questo solo!... non vederlo, non parlargli, ma saperlo laggiù, in fondo a quella valle, sotto quel tetto, dietro quella finestra, inviargli un saluto la mattina, baciare cogli occhi quella soglia, quella terra, quell'aria... È troppo poi questo? Dio mio! se mi contento di questo!...

Ma egli non ha dunque pensato che io muoio per lui? che io son debole, inferma? Non ha pianto, non ha sofferto anche lui? Perché non è venuto un momento, un sol momento, da lungi soltanto per farsi vedere un'ultima volta, per dirmi addio?

Perché non mi ha fatto udire la sua voce? perché non è passato pel bosco? perché non ha tirato una fucilata in aria? perché non ha fatto abbaiare il suo cane che mi domandava se gli volessi bene, e sulla testa del quale avea posato la mano accanto alla mia?

Mio Dio! Mio Dio!...

Ti scrivo dal letto, su di un grosso libro che mi tengo sulle ginocchia. Qualche volta ho dei brividi di freddo, delle vertigini; ma se non ti scrivessi non potrei star qui rinchiusa, mi parrebbe di divenir pazza. Non ho più lagrime e l'angoscia mi divora come un cane rabbioso. Provo una smania, una febbre, un delirio! Cotesta pioggia che cade, cotesto vento che sibila, cotesti tuoni, cotesti lampi sono insoffribili; questo tetto mi schiaccia, queste pareti mi soffocano. Vorrei aprire la finestra, vorrei sentirmi battere sulla fronte questa pioggia ghiacciata, vorrei bevermi questo vento freddo; vorrei godermi quei fulmini, quella tempesta che urla, che si contorce, che geme come me.



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